venerdì 4 novembre 2011

L'INFEDELTÀ DEGLI ITALIANI ALLA PROPRIA LINGUA


Quest'estate sono capitato a Bilbao, per trovare un amico che abita lì. Conosco altri suoi amici italiani trasferiti. A un certo punto uno di loro, con cui stavo chiacchierando, spara in mezzo al discorso in italiano una parola spagnola. Non ricordava come si dicesse in italiano. Ne nasce una discussione in cui lui ammette di aver “sostituito” l'italiano con lo spagnolo, che gli viene più immediato. So in prima persone che può succedere, avendo abitato un anno a Parigi: una volta mi è uscito “interiore” (alla francese) invece di “interno”. Eppure non ho usato direttamente la parola francese; l'ho adattata.

Uno dei fastidi più grandi che mi ha spinto ad aprire questo spazio è provocato proprio dal fatto che noi italiani usiamo in abbondanza forestierismi inutili. È una caratteristica dell'italiano, da sempre, essere una lingua piuttosto “spugnosa”, nel senso che assorbe molto dall'estero. Fino a qualche decennio fa era il francese; attualmente la lingua da cui prendiamo più parole è l'inglese. Non ci sarebbe nulla di male, in linea di principio; ad esempio “realizzare” nel senso di “capire” è un anglicismo; questo nuovo uso non fa altro che arricchire la lingua; o ancora l'espressione “lo stato dell'arte”, calco dall'inglese (peraltro non segnalato da nessun dizionario italiano). Ma usiamo una certa quantità di anglicismi di lusso, cioè non necessari; e alcuni si sono imposti, tipo week-end, che mi sembra aver praticamente soppiantato fine-settimana, che ne era il calco (era comunque un neologismo). L'Italia è l'unico paese (a parte, chiaramente, l'inghilterra) che chiama mouse il mouse, che usa computer, o file per il singolo documento ecc. ma queste sono parole necessarie; il fatto che non siano state adattate o tradotte è un altro paio di maniche, e in fondo può essere casuale: diciamo file, ma icona e documento. D'altra parte basti pensare che dal 1990 al 2000 è entrato nell'italiano circa un terzo degli anglicismi totali di tutta la storia della lingua. Il ritmo è vorticoso e non accenna a rallentare. Si arriva anche a delle formazioni mostruose, tipo scannare per “fare lo scanner” (accanto al più usato scannerizzare), scrollare nel senso di “eseguire lo scroll” (far scorrere la pagina); bannato, da banned, che sarebbe né più né meno che (venire) bandito.

Sarebbe interessante poter capire perché in Italia i forestierismi vengano così facilmente accettati e altrove no. Io un'idea ce l'avrei. L'unione linguistica italiana è cominciata negli anni '50, in buona parte grazie alla televisione, e non è ancora un processo finito. Voglio dire che qualunque italiano ancora parla una qualità “degradata” della lingua; se un giornale di Milano e uno di Palermo presenteranno una lingua scritta fortemente unitaria, lo stesso non si potrebbe dire di un parlante palermitano rispetto a uno milanese. Questo fa sì, io credo, che gli italiani abbiano una scarsa fedeltà verso la propria lingua. Siamo in una fase complicata della nostra storia: non più dialettali (almeno i più giovani) ma non ancora italiani. Ovviamente qui si parla solo di questioni di lingua, ma richiamare l'esistenza di un partito come la lega (volutamente con la minuscola) fa vedere bene quanto le questioni di lingua si colleghino profondamente con le questioni della società.Non sentiamo la nostra lingua come “nostra”, non abbastanza, non quanto inglesi e francesi , per esempio. La pubblicità, ad esempio, veicola nei nostri cervelli buona parte degli anglicismi che usiamo: gli italiani non hanno alcuna difficoltà ad accettare una parola inglese (o altro) e sostituirla a quella italiana.

È facile trovare degli esempi: oggi si chiama spa, almeno nella pubblicità, ciò che una volta erano le terme. Spa è una cittadina belga in cui appunto c'è un famoso stabilimento termale, e per antonomasia il nome indica, in francese e inglese, le terme. O ancora single, veicolato immagino da film e telefilm americani, che ha completamente sostituitola coppia celibe-nubileIn realtà "single" ha una connotazione diversa di celibe; ricordo più scapolo; cioè chi ha deciso felicemente di non sposarsi; e qui nasce un problema: manca un equivalente femminile più politicamente corretto di zitella. Cosa che credo che abbia contribuito parecchio nell'affermarsi di "single".

Fatto sta che è stato accettato dai parlanti, per cui niente si può fare. La domanda è perché i parlanti accettano, senza neanche accorgersene, parole che non si adattano al proprio sistema fonologico-prosodico (cioè ai suoni e al ritmo della lingua)? E che non se ne accorgano ne sono sicuro, perché se chiedo chiarimenti su anglicismi usati con totale naturalezza regolarmente mi sento dire “ma come, non lo sai?” come se non conoscessi una parola della MIA lingua. E se chiedo a qualcuno se sa come si dice, che ne so, “cameraman” in italiano, non me lo sa dire nessuno. Per quasi tutti non esiste la parola, in italiano. Eppure “operatore” era una parola parecchio utilizzata, negli anni d'oro del nostro cinema. Che ci sia un collegamento tra un'espressione artistica riuscita, come il neorealismo (che è prettamente italiano), e il fatto che allora non ci si atteggiava da “americani a Roma”? Forse i film italiani di oggi sono (la maggior parte) inguardabili perché vogliamo fare un cinema all'americana invece che all'italiana, cioè col cameraman, invece dell'operatore.

Certo, l'italiano pur essendo una lingua minore non sta correndo il rischio di scomparire. Non è questo il discorso che sto facendo: il fatto che gli italiani usino tante parole straniere non vuol dire assolutamente che imparino un'altra lingua. È proprio questo il problema: magari gli italiani sapessero bene l'inglese! Il problema è invece che non sappiamo bene l'inglese e tantomeno l'italiano, che sentiamo così poco nostro da adottare senza neanche accorgercene nemmeno parole straniere.

Il problema quindi si risolverebbe con la creazione di un istituto di protezione linguistica come in francia e spagna e germanie ecc...? Per dirla con Tullio De Mauro: “Non ne vedo l'utilità dal punto di vista dell'interesse generale del paese, se l'organismo è ben concepito. Se poi è mal pensato, vedo pericoli e danni”. L'accademia può fare ben poco se in Italia si trovano pubblicità interamente in inglese. Il problema non è mantenere una fantomatica “purezza” linguistica; ma fare in modo che gli italiani abbiano una capacità di espressione (quindi di pensiero) superiore a quella che hanno e cioè una conoscenza più profonda della propria lingua che vuol dire della propria cultura-identità. 

Ant.Mar. 

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