sabato 30 marzo 2013

COSÌ SI È RISTRETTO IL VOCABOLARIO



È la lingua del mercato. Mi piace, non mi piace. Voglio, non voglio. Compro, non compro. Stupendo, orrendo. Santo, delinquente. Italiano, straniero. Fascista, comunista. Amico, nemico. Noi, loro. Semplificata, poche parole, scalpellate e puntute, da tirarsi in testa all’occorrenza. Poche idee. Scalpellate anche loro. Niente sfumature, solo quelle di grigio, rosso o nero, all’occorrenza. Chi insegna conosce bene questa lingua. La trova nei temi e nei saggi brevi, che dovrebbero argomentare e invece hanno la protervia (superbia insolente, arroganza ostinata, sfrontata, petulante, scrive il dizionario Treccani) di un oracolo a fine carriera. È fatta di frasi brevi, assertive. Parole pochissime, come fendenti. Gonfie, retoriche, slogan. Si spiega con rigore che la propria tesi va sostenuta con parole il più possibile chiare e condivise, che la tesi contraria ci deve essere sempre presente, perché qualche elemento di ragione ha da avere con sé e comunque si deve essere pronti a confutarla. Si ricorda che è un’arte il pensare, come il parlare.

E invece. La lingua che la maggior parte di noi conosce e usa quasi non ci permette di capire il necessario per il vivere minuto: un modulo da compilare, le condizioni di conservazione di un farmaco. La bella storica battaglia contro la schiavitù dell’analfabetismo si sta rovesciando in una silenziosa impensata disabilità, analfabetismo funzionale, leggo ma non capisco. Una sconfitta subdola.

Dar la colpa alla scuola che non insegna, ai libri di testo sempre troppo difficili per i ragazzi eppure sempre più ammiccanti, nella lingua, a una medietà senza qualità, accusare la scuola, contro cui si è accanita la politica di un ventennio, è una scorciatoia bugiarda che può prendere solo chi non sa cosa succede in aula. Perché di sicuro la scuola con tutte le forze viaggia controvento. Ma le parole colorate che fan festone nella aule delle elementari, le mille scritture che si incontrano nei romanzi letti in classe e proposti a casa, e nelle antologie e, ormai da tempo, le straordinarie esperienze di “scuola d’autore” che coltivano la scrittura creativa dei ragazzi e delle ragazze, sono realtà importantissime, ma rischino di restare “cose di scuola” se poi il parlare del mondo intorno è raggelante. Si apprende la lingua soprattutto attraverso l’esposizione a un bel parlare. Tv, giornali e web costruiscono il modello corrente di lingua, molto più della buona letteratura, e non solo perché si legge poco, e questo è male per millemila ragioni, ma perché la lingua sciatta del mercato dilaga nei libri anche, buona per tutti i generi, giallo, fantasy, thriller o romanzo d’amore: assertiva, paratattica e soprattutto facile, facile facile.

Nei notiziari ha la forma del virgolettato cubitale e spesso scorretto prima di dare il contesto: «Il disastro poteva essere evitato» (che è solo l’ipotesi di un gruppo di scienziati chissadove, ce lo ricordano chissaquando). «Fra vent’anni la popolazione italiana sarà scomparsa e al suo posto ci sarà un potpourri di immigrati» (iperbole che è la proiezione di un’indagine, forse, e forse alla fine del servizio ce lo faranno scoprire). E si chiude la tv più arrabbiati, più spaventati e pochi sanno del pot-pourri ci dicono le indagini, ma disastro, scomparsi e immigrati hanno la potenza delle emozioni. Così si aiuta a costruire una lingua povera povera, adatta a schierarsi e a fare il tifo, io di qua e tu di là, ma non a capire, a capirsi.

Difficile ragionare di questo perché lo si fa dalla sponda di chi le parole le coltiva per lavoro o per passione e a volte quel che accade davvero gli arriva improvviso in forma di indagine internazionale che ci colloca appena sopra il Nuevo Leòn (stato del Messico, a nord est, dice un buon atlante). Una bufera sulla nostra sicumera (sussiego e presunzione, scrive il dizionario Treccani) di sapere le cose proiettando tutto intorno a noi le nostre convinzioni. Ma se la consapevolezza arriva bisogna spaventarsi e resistere. E difendere la scuola, e la bella lingua e letteratura. E i bambini. I bambini c’entrano, e anche i ragazzi, visto che in questi giorni alla Children’s Book Fair di Bologna altre indagini ci hanno appena detto che in realtà loro leggono, molto molto più di noi adulti, e amano leggere. Esporli a una buona letteratura è un atto necessario.

Poche parole vuol dire pochi pensieri. Anche per difendersi, difendere chi ha bisogno. E probabilmente non capire il bugiardino di un farmaco «nuoce gravemente alla salute», anche se l’inflazione noncurante dell’espressione ripetuta su tutti i canali ne abbassa la pericolosità percepita. Ma di sicuro non capire un articolo di giornale o una proposta di legge nuoce gravemente alla nostra vita civile, alla nostra convivenza e alla nostra umana necessità di dirci e di capirci.


martedì 26 marzo 2013

PERCULARE



Ho appena scoperto l’esistenza del verbo perculare grazie al titolo di un articolo su Giornalettismo.com  intitolato “Fiorello percula Vito Crimi”. 

Dopo aver letto “pèrcula”, ci penso un po’ su, e clicco.

Dunque vengo a sapere della vicenda – Fiorello prende in giro il senatore 5stelle (guarda video) che si è addormentato sul lavoro – faccio due più due e capisco: perculare = prendere per il culo.


Ci stanno talmente perculando che il concetto è diventato tanto frequente nel parlato da rendere necessaria una parola più "sintetica"?

L'ho scoperto su Giornalettismo.com, quindi direi che sta uscendo, se non è già uscito, da un eventuale uso solo giovanile o solo "locale". Voglio dire, sta forse "crescendo"? A priori, niente di male.

Perfetto. È nuovissimo, nuovo, vecchio?  Cerco un po’ in rete ma non trovo niente di interessante… ne deduco: ancora talmente nuovo (e forse poco diffuso) che i tecnici (Crusca, Treccani…) non ne parlano.

Dove sarà nato? Nord, centro o sud? A occhio io direi che è di Roma, ma probabilmente sbaglio.

Come si pronuncia? L’infinito è abbastanza chiaro: perculàre, e direi che anche la prima persona, che istintivamente ho letto come sdrucciola sia in verità piana: io percùlo, tu percùli, egli percùla.

Divertente.

Qualcuno ne sa di più o ha altro da aggiungere? 

PS: curiosità:la Amphipirion percula, è il pesce pagliaccio.

Ant.Mar.

lunedì 25 marzo 2013

'GOVERNISSIMO'



Abbiamo parlato, qualche tempo fa, dell’analisi compiuta dall’Accademiadella Crusca sull’italiano veicolato dai mezzi d’informazione, in particolare televisione, radio e giornali. I risultati non erano incoraggianti: il livello di italiano è pericolosamente sceso, a partire dagli anni ’80, e non tanto perché oggi si dia spazio alle varie parlate regionali, né perché i nostri giornalisti e presentatori, spesso, dimenticano l’uso corretto del congiuntivo, o tendano a sostituire parole italiane, chiare, con parole inglesi, inutili. Il problema principale denunciato dalla Crusca era il livello dei messaggi, più che la loro forma. Si tende, per fare ascolti, per fare scalpore, ad usare un linguaggio sempre meno esatto e sempre più spettacolarizzato, esagerato, col trionfo di mega- super- iper- ecc. Un linguaggio che riesca ad attirare, anche con l’inganno, gli utenti, che poi sotto il titolo allarmante trovano un articolo che c’entra poco e niente.

È un po’ la stessa caratteristica del linguaggio pubblicitario: brevità, gioco, impatto immediato. Questo si cerca nei motti pubblicitari, questo si cerca nei titoli di giornali e tg. Partiamo da queste brevi considerazioni per proporre una piccola riflessione sul “governissimo”, parola che è stata creata dai giornalisti in questi ultimi tempi. Già quel superlativo rientra a pieno titolo nella “spettacolarizzazione” ed “esagerazione” del linguaggio dei media di cui parla l’Accademia della Crusca.

venerdì 22 marzo 2013

TRAVAGLIO E LO 'SCOUTING' DEL PD



Riporto l’ultimo lemma del dizionarietto della crisi di governo presentato con la solita ironia aggressiva da Marco Travaglio, ieri a Servizio Pubblico.

“[…]L’ultimo vocabolo è proprio un neologismo dell’ultima ora: SCOUTING.

Quando Bossi sfiduciò il primo governo Berlusconi che cos’era? Ribaltone. E puzzava

Quando Berlusconi avvicinava uno ad uno i deputati del centro sinistra per portarli nella sua maggioranza che cos’era? Mercato delle vacche, compravendita, voto di scambio… e strapuzzava.

Se invece il PD avvicinasse per caso uno ad uno i 5Stelle per convincerli a votare la fiducia a Bersani o a Grasso, come si chiama? Si chiama SCOUTING, e profuma di Chanel n. 5.”

Magia dell’inglese. Proprio come le escort.

Ant.Mar.

mercoledì 20 marzo 2013

ANCHE L'UNIVERSITÀ CA' FOSCARI BOICOTTA L'ITALIANO.



IPOCRISIA ANTI-INGLESE: L’Università Ca' Foscari di Venezia annuncia che bandirà dal prossimo anno accademico gli studenti che non saranno in possesso del certificato che attesti la loro conoscenza dell'inglese. Questa bella iniziativa è dovuta al rettore dell'istituto, Carraro, e trova l'appoggio di tutti, ma proprio di tutti. Anche dei leghisti, che difendono il dialetto, ma se ne strafottono dell'italiano. È la spinta anglicizzante che sta occupando moltissime università del nord, e ed è favorita dai nostri politici, messa nero su bianco dall’AgendaMonti. Il primo fu il Politecnico di Milano, che dal 2014 farà corsi magistrali unicamente in inglese. In Italia. In inglese. In Italia. Per studenti italiani. Siamo già a quota sei università. Italiane. In inglese. In Italia.

A moltissimi italiani, a giudicare dalle voci in rete per quanto riguarda il popolo; e dalle decisioni prese ufficialmente per quel che riguarda la classe dominante, pare una buona idea, non solo al rettore e agli addetti ai lavori, ma proprio all’italiano medio sembra un’ottima idea finirla con la nostra lingua, inutile, e cominciare a parlare inglese, che, lui sì, è una lingua che serve a qualcosa. L'inglese. In Italia. Questa è ipocrisia, provincialismo, ignoranza, o più probabilmente malafede; secondo il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, invece, l'ipocrita sono io: