mercoledì 13 marzo 2013

DIALETTO A SCUOLA, TUTELARE LE LINGUE LOCALI?



Paolo Guerra, Lega Nord

ITALIANO vs DIALETTO: Mentre a livello nazionale si spinge sempre più per un abbandono dellalingua italiana a favore dell’inglese, nelle scuole, nelle università, negli ospedali, e in generale in tutte le altre istituzioni pubbliche, contemporaneamente, sempre di più a livello locale si spinge per la tutela e l’insegnamento dei dialetti. Agguerrita è la lotta per la lingua sarda, ma non meno attenti ai temi sono i friulani, i veneti… un po’ meno si sente di queste cose al sud, ma anche nelle Due Sicilie si sta cominciando ad andare in questa direzione. Perché il problema sia più sentito al nord è abbastanza chiaro: nel nostro sud i dialetti non rischiano, non ancora, la sparizione; e soprattutto, il nord, gode storicamente e ingiustamente di un prestigio culturale maggiore di quanto non abbiano le lingue del sud. Tuttavia, bisogna ricordare che se la lingua napoletana è riconosciuta e tutelata dallo Stato italiano in quanto vera e propria lingua locale, non si può dire altrettanto, ad esempio, del ligure.

La novità degli ultimi giorni è la proposta, che va proprio in questo senso, presentata il 12 marzo 2013 in Emilia Romagna dal leghista Paolo Guerra che, spiega, avrebbe voluto introdurla durante i rinnovi delle convenzioni culturali nel dicembre scorso, ma la concentrazione dei rinnovi (oltre 20 in poco più di 10 giorni) non avrebbero consentito alle opposizioni alcuna proposta al riguardo. 

Sulla scorta del dibattito politico avviato lo scorso anno sull’unificazione delle provincie romagnole – afferma Guerra – ho presentato un ordine del giorno che chiede di avviare nelle scuole di primo e di secondo grado un piano di divulgazione della lingua e delle tradizioni romagnole.

A sostegno di questa mia proposta ho rispolverato la Legge Regionale n°45 del 7 novembre del 1994 tuttora in vigore, con la quale l’Emilia Romagna indirizza gli Enti locali a tutelare e studiare i dialetti e le tradizioni del proprio territorio. A prescindere dalla visione politica e organizzativa della Romagna, sia essa provincia unica o ancor meglio regione, la proposta chiede all’amministrazione comunale di mettere a disposizione adeguate risorse per una attività all’interno delle scuole elementari e medie. Non è possibile destinare solamente 6.500 euro annui all’associazione Frederich Schurr da anni attiva su questi temi e 20.000 mila euro annui per le manifestazioni interculturali a favore degli immigrati.


INTEGRARE GLI IMMIGRATI: E ti pareva: il problema non è tutelare la lingua locale, quanto privilegiare il campanilismo, contro gli immigrati. Peccato che la sua mentalità leghista gli faccia presentare la cosa in questo modo, perché in sé l’idea non è sbagliata, ma messa in altri termini. Intanto, personalmente sono d’accordo con l’idea che in ogni regione d’italia si insegni, più che il dialetto, la letteratura dialettale: il Belli a Roma, il Porta a Milano ecc. proprio per una questione di cultura, non tanto di tutela o protezionismo. Conoscere, capire, e sapere l’esistenza e il valore della letteratura dialettale, tra l’altro, può rendere meglio consapevoli gli studenti della storia frammentaria del nostro paese; costituisce un importante supporto alla consapevolezza di sé. E accanto a questo, perché no, proporrei anche una infarinatura sulle migliori penne delle altre lingue locali. Questo in tutto il territorio nazionale. Sono pronto a scommettere che la severità cattolica di Manzoni non reggerebbe il confronto con la freschezza del Belli, nella ricezione dei giovani studenti.

Ma se questo è importante, di gran lunga più fondamentali sono le manifestazioni interculturali a favore degli immigrati tanto disprezzate dalla Lega Nord. Per una semplice questione di logica matematica: quanti stranieri ci sono in Italia? Secondoil CENSISintorno ai 5 milioni. Di questi circa la metà lavora. Inoltre 1 milioni di bambini frequentano le scuole italiane, mentre 40 mila vanno all'università. Infine ci sono 25 mila persone venute in Italia per motivi religiosi”. I paesi da dove proviene la maggior parte degli immigrati sono Romania, Albania, Marocco e Cina.

È fondamentale, quindi, proprio per gli stessi identici intenti del leghista che vuole tutelare la lingua locale. Infatti, a parte la loro notevole quantità sul nostro territorio – rimaniamo comunque uno dei paesi con minore presenza di stranieri in Europa – bisogna aggiungere che l’età media è di gran lunga inferiore dell’età media degli italiani, e che fanno molti più figli. Dato per scontato che, a parte i problemi etici, è materialmente impossibile cacciarli via tutti, resta una sola soluzione: italianizzarli. Per evitare di ritrovare l’Itala, tra 100 anni, del tutto privata della sua lingua e della sua cultura, la soluzione migliore è, mi pare ovvio, essere pronti ad assorbire alcuni elementi delle culture degli immigrati, e spingere affinché questi assorbano quanto più possibile della cultura e della lingua del paese in cui vivono. Proprio per una questione di continuità, insomma.

Ciò che ci rende italiani non è il colore della pelle, non è la razza, ma la cultura, ma la lingua. Bisogna necessariamente puntare alla continuazione della nostra lingua “locale” attraverso queste nuove generazioni di italiani. Senza contare che, ancora non riusciamo ad accettarlo, tutti quei bambini, figli di stranieri, che nascono in Italia, sono di fatto italiani, anche se né lo Stato né il popolo vuole riconoscerli in quanto tali. Parlano la nostra lingua, persino – come piace ai leghisti – con le cadenze tipiche della regione in cui vivono. Escluderli dai corsi scolastici, dare più risorse al dialetto per gli italiani che all’italiano per gli immigrati, significa non dargli senso di appartenenza: e se non si sentiranno italiani, ovviamente, ripiegheranno sulla loro cultura di provenienza, isolandosi in “ghetti culturali”, come gli italiani di little italy, come i cinesi di china town. Anzi, isolandoCI, visto il loro numero. Non sempre l’integrazione è facile, non sempre gli stessi immigrati sono pronti a integrarsi; in particolare, sembra, i cinesi sono molto chiusi. Motivo in più per insistere! Motivo in più per essere pronti ad assorbire anche qualche carattere straniero, che non può che farci bene.

Possibile che non si capisca che, se è importante la sopravvivenza delle lingue locali, ancora di più lo è quella della lingua nazionale? A me, pare evidente, e auspicabile. Immaginate quanta ricchezza linguistica potrebbe darci un cinese, con la sua cultura aliena, che parli e scriva in italiano!

INDIPENDENTISMO LINGUISTICO UE: Un altro punto su cui bisognerebbe riflettere, meglio di quanto non sia in grado di fare io, è proprio questa reazione non nazionalista, ma regionalista, che si registra in Italia e in quasi tutti gli altri paesi europei uniti da relativamente poco. A Barcellona la questione indipendentista è scottante, in Belgio idem. La mia teoria è questa: nel diciannovesimo secolo, quando si sono formate le grandi nazioni, ogni singolo piccolo regno o repubblica aveva la necessità di unirsi con gli altri in un organo nazionale – sovra regionale – per poter competere politicamente ed economicamente con le altre grandi nazioni, Francia e Inghilterra soprattutto. Se insomma, al di là dei problemi che tutto ciò ha creato, specie nel nostro sud, era la Storia a pretendere la nascita della grandi nazioni, oggi, con l’Unione Europea, ogni piccolo luogo si sente in certa maniera tutelato, e non sente allora di aver più bisogno della grande nazione, perché parte della mega-nazione Europa. Quindi spinge per il ritorno alla piccola nazione, magari con lingua e cultura altrettanto piccola, senza per questo uscire dall’unione. È solo un’ideuzza, neanche tanto elaborata… da approfondire senz’altro.

A questo si aggiunge, ma non lo nega, anche il motivo opposto, che caratterizzò anche le guerre di resistenza alle nazioni ottocentesche: la paura, anzi la certezza, che un unione tanto grande possa costituire una minaccia con l’identità tipica locale; insomma una reazione alla globalizzazione.

Per tornare al nostro caso particolare, in Emilia Romagna, "Per la tutela della lingua romagnola - conclude il consigliere Guerra - sono attive due importanti istituzioni: l’associazione Frederich Schurr e Cà Foschi le quali organizzano incontri e stampano periodici che difficilmente raggiungono i giovani e gli studenti all’interno delle scuole. è proprio in questi ambiti che, oltre ai laboratori e alla cucina interculturale, abbiamo il dovere di creare quella 'contaminazione culturale' del nostro territorio diretta indistintamente ai giovani e agli studenti di ogni nazionalità. Da un lato per tutelare e tramandare le nostre tradizioni romagnole, dall’altro per integrare al meglio gli stranieri al comportamento e alla storia del nostro popolo".

Integrarli alla cultura romagnola, invece che a quella italiana? È come se noi volessimo integrarci alla cultura e alla lingua anglosassone, invece che a quella Europea, multilingue… e in effetti è proprio quello che stiamo facendo! Un minuto di silenzio.

Ant.Mar.

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